Luca Silla: Pace, sostenibilità ed economia civile per consegnare un futuro migliore alla Z gen!

Alec Ross, economista americano membro dell’amministrazione Obama e affermato futurologo,  ha scritto appena nel 2018 un best seller tradotto in oltre 20 lingue dal titolo “Il nostro futuro: come affrontare il mondo dei prossimi 20 anni”. Ross ipotizzava nel pieno entusiasmo dell’esaltazione dell’ Industria 4.0, del passaggio al Capitalismo dell’ Immaterialità, dell’affermarsi dell’ IoT, un futuro migliore un modello Phygical. Uno scenario ancora in atto e imprescindibile ma ancora lungi dal garantire un futuro migliore e sostenibile.  Un progresso che, in alcune circostanze, quali ad esempio gli attacchi cibernetici o la guerra, si è rilevato anche un boomerang. Purtroppo, gli ultimi 3 anni sono stati caratterizzati da tanti cambiamenti ed eventi profondamente disruptive che  mettono in dubbio il raggiungimento di un equilibrio New Normal. Più volte del recente passato siamo stati incredule vittime e spettatori del nostro stesso operato, perdendo speranza nel realizzare  un futuro migliore e sostenibile.  Ereditiamo un fardello pieno di limitazioni, impedimenti costrizioni. Una società colpita a tutti i livelli dalla dirompente combinazione di due cigni neri: prima una crisi pandemica di natura globale e sistemica  e poi da una crisi bellica con effetti asimmetrici rispetto a paesi e classi sociali ma che pesa enormemente a livello socio-economico. 

Subiamo un sistema geopolitico in cerca di nuovi equilibri, una sostenibilità economica e ambientale tanto desiderata, auspicata, quanto difficile da realizzarsi. Un anno dopo quasi tutti gli obiettivi deliberati durante il Cop27 di Glasgow 2021 non hanno trovato attuazione, anzi per molti aspetti registriamo un deterioramento rispetto alle condizioni e premesse di partenza. Tra le principali cause di incertezza e condizionamento dell’economia certamente dobbiamo annoverare il rinnovato dualismo tra il blocco dei paesi d’occidente e un emergente blocco ad oriente, ispirato da un revanscismo zarista alimentato, da dietro le quinte, da una Cina e altri paesi emergenti alla ricerca di un nuovo equilibrio sociale e mercati di sbocco. Il modello di welfare occidentale inizia a  vacillare condizionato da un dilagante aumento del debito pubblico; il tanto auspicato PNRR stenta a trovare la strada di un efficace attuazione e sempre più suona come un’opportunità unica e irripetibile.

Un primo scenario plausibile è quindi quello che si possa tornare presto ad un equilibrio socio-economico, ad una pace, che consenta a tutti  di esprimere in piena libertà e merito il talento e l’ingegno individuale. Il tessuto economico nazionale è ricco di talenti e ingegno, valori apprezzati a livello internazionale che molti ci invidiano e che debbono trovare libertà d’ espressione e sviluppo senza costrizioni, barriere d’ingresso e limiti geografici. Come scrive l’economista Helpman “Firms trade not countries”. Un sillogismo che vuole evidenziare come ogni impresa e imprenditore è ispirato dalla creazione di valore in un contesto di mercato libero e senza confini, senza limitazioni regolamentari e condizionamenti geografici. La libertà di fare impresa, di esprimere talento e ingegno non può che ripartire da  un ritrovato equilibrio delle relazioni internazionali, dalla rimozione delle misure protezionistiche, embarghi e politiche d’autarchia.

In uno scenario di un futuro possibile occorre trarre spunto dagli errori del passato, porre rimedio agli squilibri ambientali generati da un conflitto d’interessi tra chi produce e chi consuma, tra chi investe in azienda e chi salvaguarda l’habitat. Partendo da un approccio micro-economico,  occorre  promuovere un  passaggio da una concezione di “capitalismo dell’equity” ad un “capitalismo degli stakeholders”; una nuova vision che deve interessare più livelli culturali: imprenditoriali, istituzionali e finanziari. Il fermo atteggiamento tenuto dalle major energetiche nel recente shock di mercato, con un evidente generazione d’ extra profitto a discapito degli stakeholders, è un esempio tangibile del prevalere delle logiche prettamente conservative a discapito di una condotta ESG. I tempi sono maturi, se non addirittura superati, affinché l’approccio ESG tanto celebrato da imprese e istituzioni debba trasformarsi in una vera volontà di cambiamento, in  un nuovo paradigma di fare impresa, in un modello culturale orientato al social impact e che condizioni ogni scelta di investimento e acquisto. La salute, il benessere e l’ambiente sono beni imprescindibili e comuni. Occorre un salto culturale che veda il modo di fare impresa con occhi differenti! Il numero delle benefit companies aumenta a livello mondiale, occorre ora stabilire a livello internazionale principi che certifichino e premino i bilanci di chi eroga dividendi sociali e non solo massimizza quelli economici. Da ultimo, tra i megatrend l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico di molte economie avanzate, in particolare di quelle europee,  condiziona la capacità di resilienza, gli equilibri di finanza pubblica e la ripresa delle economie del vecchio continente. Economie quelle dei principali paesi UE fortemente basate sui processi produttivi di tipo manifatturiero, che stanno perdendo il tradizionale ruolo di poli terminali delle catene globali del valore: un esempio il settore automobilistico in Germania. A causa del crescente processo di affermazione del Capitalismo dell’ Immaterialità, dell’ Internet of  Things il prodotto è sempre più un tutt’uno con il servizio e il baricentro del commercio internazionale si sposta verso mercati maggiormente aperti all’innovazione e alla “rivoluzione” digitale?  Come possiamo dare impulso all’economia manifatturiera del vecchio continente e, in particolare, al Made in Italy?  Attualmente fra le 100 piattaforme digitali a maggiore capitalizzazione solo il 3% è europeo mentre il 67% è in capo a gruppi americani, il 29% a gruppi asiatici, prevalentemente cinesi. Questi dati ci debbono far riflettere  giunto il momento di agganciarci ad un trend che spiazza la specializzazione manifatturiera che in parte indebolisce le qualità culturali del vecchio continente.  Tra le tante soluzioni possibili una di quelle più a portata di mano per costruire un futuro auspicabile è quella  di scommettere  sulle nuove  generazioni, dai millennials in poi,  partendo da una radicale riforma del sistema educativo e del mercato del lavoro, che deve facilitare il turn-over occupazionale inglobando di chi vive la quotidianità, i consumi e le aspettative con nuove prospettive e pieno di energie. La ripresa e l’innovazione deve certamente ripartire dal contributo e  motivazione della generazione dei giovani coinvolgendo, senza discriminazioni di genere, millennials e Z gen. Il loro coinvolgimento consentirebbe di  poter colmare il gap culturale che si è creato in un contesto fortemente condizionato  dall’impresa manifatturiera di tipo familiare, legato alla specializzazione della mano d’opera e scarsamente aperto al cambiamento. Prima di tutto dobbiamo tener conto che la generazione dei millennials è figlia di un bagaglio culturale che si differenzia dai valori della tradizione del lavoro  manifatturiero del passato e che, inoltre, è più aperta e incline ai cambiamenti e all’inclusione sociale. Quali le possibili azioni per il cambiamento? Come primo step occorre gestire le successioni imprenditoriali con maggiore apertura e tempestiva, puntando sull’ inclusione più precoce delle nuove generazioni nei posti di governance. La maturità manageriale oggi, grazie ad un contesto cambiato, si raggiunge molto prima di un tempo ne sono esempi figure di startuppers già affermati a trenta anni.  L’ inclusione dei giovani nelle traiettorie di sviluppo e cambiamento passa anche e necessariamente per una profonda revisione anche del sistema educativo: occorre rivedere radicalmente il sistema scolastico e universitario rendendolo più efficace  e moderno. La pandemia ha creato nella scuola e nell’università le premesse per un forte cambiamento nel ripensare come formare i lavoratori e cittadini del futuro. Sono necessari misure che consolidino i cambiamenti indotti dalla pandemia,  dobbiamo  interiorizzare a livello culturale un nuovo paradigma didattico.  In un contesto dove notizie e informazioni viaggiano ad altissima velocità e gli scenari di riferimento cambiano di continuo, bisogna formare competenze critiche e chiavi di lettura a supporto delle scelte strategiche e dei processi decisionali. A mio modo di vedere, l’approccio di una solida base teorica è tramontato. Deve cambiare quindi radicalmente il rapporto docente studente i percorsi curriculari dovrebbero valorizzazione le attitudini personali e lo sviluppo di competenze pratiche utili a facilitare un rapido inserimento nel modo del lavoro. L’uso della didattica on-line, ereditato dalla pandemia, deve  consentire una costante quanto tempestiva verifica dei progressi dei singoli, favorendo più frequenti  livelli di comunicazione e sostegno da parte dei docenti. Il digital shift educativo dovrà favorire inoltre: sia l’inclusione di una più ampia base di studenti, come lavoratori, genitori e giovani che non possono permettersi frequenze fuori sede o negli orari lavorativi, che un costante aggiornamento delle competenze anche post studi. La formazione deve veramente essere erogata in maniera costante e progressiva con l’obiettivo di evitare un’ obsolescenza professionale troppo precoce e marginalizzante a livello sociale.

In conclusione, chiediamoci quindi:  E’ forse giunto il tempo rimettere in discussioni approcci e  facili entusiasmi legati alla digital economy? Ovvero, dobbiamo solo porre rimedio e rivedere una traiettoria di progresso che da sola non può autogovernarsi e generare un futuro sostenibile e auspicabile? Volendo sposare il secondo approccio, tra le tante soluzioni possibili, personalmente vedo tre step d’impatto orizzontale: i) riequilibrio delle relazioni internazionali, pace e recupero della libertà d’azione e d’ impresa, ii) concreta attuazione  dei valori ESG  e adozione di modelli di capitalismo degli stakeholders e, ultimo ma non meno importante, iii) fiducia e responsabilità nella crescita ed educazione della generazione dei nostri figli o nipoti. Tutto ciò si innesta e trova riscontro in quello che recentemente il Santo Padre Francesco ha definito ad Assisi e in altri contesti pubblici come un ritorno in questo “Mundus furious” all’Economia Civile.

Luca Silla – Docente Luiss BS, Coordinatore Osservatorio Export Regione Umbria

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Intervista al Docente Luiss BS, Coordinatore Osservatorio Export Regione Umbria Luca Silla pubblicata nella nuova Edizione de L’Osservatorio delle Imprese 2023

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