Guido Castelli
Commissario Ricostruzione Sisma
Relatore del roundtable “Costruire il Futuro dell’Italia di Mezzo” all’Economic Challenge 2023 Acacia Group
28-29 Settembre 2023, Assisi – Sacro Convento
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Da anni il nostro Paese si confronta con una irrisolta “questione meridionale” e una più recente “questione settentrionale”, dimenticando che c’è una “terza Italia” – un’Italia di mezzo, un’Italia del Centro – che non è Nord e non è Sud del Paese, che va dalle Marche al Lazio, dall’Umbria all’Abruzzo. Si tratta proprio delle quattro regioni coinvolte dal cratere del sisma del 2016, sono i territori che si sviluppano attorno all’Appennino centrale: una porzione del Paese che ha bisogno di guardare “oltre”, alla sua prossima opportunità di rinascita e di ripresa.
Questo Centro Italia sta scivolando sempre più a Sud, senza raccogliere quello sguardo benevolo (e quegli aiuti espliciti) che almeno in qualche occasione (e programmazione) s’indirizza al Mezzogiorno d’Italia. C’è una crisi del Centro Italia – l’Italia di mezzo – che qualcuno ha cominciato a segnalare (come il professor Luca Diotallevi in un recente editoriale sul Messaggero).
Il terremoto del 2016 ha colpito aree già toccate in modo severo dalla crisi economica e produttiva. I territori del cratere soffrivano già da lungo tempo di un progressivo processo di spopolamento (a cui si lega un tasso di denatalità maggiore rispetto a quello già preoccupante che fa registrare l’Italia), di una crisi economica e occupazionale allarmante e di una accentuata carenza di infrastrutturazione: sia fisica sia digitale. “Quando un territorio viene colpito da un disastro naturale, l’allontanamento della popolazione, inizialmente inevitabile per la sua messa in sicurezza, rischia di avere effetti persistenti se col passare del tempo la circostanza di vivere altrove diviene una scelta definitiva e se si innescano circoli viziosi tra lo spopolamento e il depauperamento dell’economia locale, attraverso il calo dell’offerta di lavoro, da un lato, e il ridimensionamento della domanda rivolta ai prodotti e ai servizi offerti sul territorio, dall’altro lato”: l’avvertimento contenuto in un recente studio elaborato da Bankitalia sintetizza la condizione sfidante di chi vuole ridare un futuro a un pezzo non trascurabile del Paese.
Non si tratta quindi soltanto di curare i mali del passato, ma anche di incentivare le prospettive per il futuro di questa vasta area interna. La ricostruzione post-sisma è una missione prioritaria e dovuta ma, al contempo, da sola rappresenterebbe una risposta parziale rispetto ai problemi strutturali di cui soffrono questi territori.
Il percorso di ricostruzione deve fare i conti con un continuo aggiornamento dei costi e delle condizioni esterne in cui il processo si sta sviluppando. Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina con la difficoltà di reperire alcune forniture e con l’inflazione che ha fatto crescere i prezzi (tra il 30 e il 40%), poi la concorrenza interna con i cantieri del 110%, che ha distratto molte imprese dall’impegno sul territorio: la ricostruzione nell’area del cratere del sisma 2016 è una “creatura viva”, in un’area di oltre 8000 chilometri quadrati, dove ancora ci sono almeno 30mila cittadini che non sono rientrati nelle loro case.
Molto è stato fatto (oltre 9mila cantieri sono stati chiusi), moltissimo resta da fare (ci sono ancora almeno 21mila domande di contributo che devono essere presentate e il 45% della ricostruzione pubblica è ferma al palo).
Ma soprattutto non basta parlare di ricostruzione. Servono altrettante e coerenti iniziative di ripresa economica e sociale. Questa è la condizione per proporre un nuovo orizzonte a quei luoghi, dove affondano le radici storiche e culturali del nostro Paese. Ricostruire e rigenerare questo territorio vuol dire riproporre i presupposti per renderlo “abitabile”, assicurando interventi di mitigazione del rischio connesso al dissesto idrogeologico, un’edilizia pubblica e privata sicura, una viabilità adeguata, una connettività digitale essenziale, una scolarizzazione necessaria, una rete di protezione sociale vivace e una economia in ripresa.
Ci sono le condizioni per aprire un grande cantiere – il più grande cantiere d’Europa, per valore della ricostruzione – che possa diventare un laboratorio, un modello per la ripresa di una vera e propria macro-regione, da anni trascurata e marginalizzata, come accade per tutte le aree interne del Paese. Le nuove opportunità offerte dal “decentramento” urbano e sociale segnalato dalla pandemia – le periferie sono tornate al centro della riflessione e dei modelli di vita, con il lavoro da remoto e con il recupero di un necessario orizzonte di benessere e di work-life balance – possono costituire la premessa per una ricostruzione del futuro del Centro Italia, anche e proprio a partire dalla ricostruzione della vasta area del cratere del sisma del 2016.